Cosa succederebbe se …?
Scegliamo un futuro diverso agendo con consapevolezza
Un incipit che racchiude in sé una grande narrazione, una frase tanto diffusa da sottovalutarne la portata rivoluzionaria. Lo psicologo israeliano Daniel Kahneman, nel 2002 ha vinto il premio Nobel dell’economia concentrandosi sul se.
Edward Lorenz, con il suo effetto farfalla - un teorema elaborato dallo studio dei sistemi complessi - ha sollecitato la nostra immaginazione sul fatto che un battito d’ali di una farfalla in Brasile possa generare un tornado in Texas: piccole variazioni nelle condizioni iniziali di un sistema, possono portare a conseguenze imprevedibili e grandi cambiamenti nei comportamenti di lungo termine.
Parlare di futuro è una grande sfida, farlo in un momento storico come questo è una necessità non evadibile.
Il nostro mondo è in pericolo mortale e per questo è sempre più avvertito il bisogno di illuminare le coscienze per sensibilizzarle e spingerle all’azione. Occorre rivedere e rinegoziare nuovi equilibri tra uomo e natura, tra economia e benessere, tra cittadini e istituzioni, tra gli stessi stati sovrani. E occorre farlo subito: dobbiamo cogliere le opportunità che l’effetto pandemia sotto questo lato sta producendo.
Non abbiamo più tempo (per riferirsi al dibattito internazionale sul clima, l’espressione cambiamento climatico è stata coniata da Frank Luntz, il mago della comunicazione politica, oltre vent’anni fa, mentre il dibattito sul riscaldamento globale è risalente addirittura alla fine dell’Ottocento, allorquando lo scienziato svedese Steve Arrhenius denunciò il rischio di riscaldamento globale dovuto alla combustione fossile).
Il futuro è stracolmo di opportunità e per questo è fondamentale aprirci al mondo con un nuovo approccio sistemico che richiederà di ripensare il modello culturale nel quale far confluire le organizzazioni, la società e l’economia, mettendo la persona al centro del progetto. Non potremo più parlare di futuro senza avere esplorato tutti i futuri possibili, senza aprirci ai diversi scenari, nei confronti dei quali sarà la nostra consapevolezza rivolta verso il bene comune a tracciare la rotta e permettere a ognuno di noi di vivere una vita da protagonista.
Sì, ormai abbiamo ben chiaro tutto questo, è vero, ma siamo in grado di tornare a pensare al futuro in modo sistematico e strutturato? Progettare il futuro è la prerogativa principale dell’uomo, è quanto più ci differenzia dalle altre specie viventi, è il fattore chiave alla base della nostra evoluzione; eppure siamo oramai abituati a farlo solo in una prospettiva di breve termine.
Possiamo e dobbiamo immaginare un mondo libero dalla paura e dalla violenza. Un mondo alfabetizzato. Un mondo equo e universale, caratterizzato a tutti i livelli da un’educazione di qualità e da un’assistenza sanitaria generalizzata; un mondo dove il benessere fisico, mentale e sociale venga assicurato.
Il futuro (il nostro, alla stessa stregua di quello di ogni specie vivente) può essere piantato, annaffiato, curato e raccolto solo da noi stessi. Lottare per il nostro stesso futuro non è antitetico rispetto alla lotta per il futuro dell’umanità e del pianeta che ci ospita, lo sottolineiamo ancora una volta.
Non è una novità, è vero. Lo sappiamo bene. Ma dobbiamo ribadirlo con forza. Sempre.
Se vogliamo attuare il cambiamento, dobbiamo essere disposti a cambiare noi per primi (questa è stata, tra le altre, una delle più grandi lezioni che ci ha insegnato il Mahatma Gandhi). Il futuro, come la vita, è un bel dono che ci è stato concesso e cosa farci dipende dalla nostra mente, dal nostro corpo, dalla nostra anima, dal nostro spirito e dal nostro cuore.