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La disinformazione nelle relazioni digitali

04
Mag, 2024

Le comunicazioni digitali diventano sempre più pervasive: aumentano i canali di comunicazione digitale, le modalità si differenziano, la quantità di informazioni che riceviamo giornalmente supera abbondantemente la soglia che ci permette di analizzarle in maniera critica e, di conseguenza, la qualità dell'informazione che riceviamo, e che alle volte trasmettiamo anche senza accorgercene, assume un'importanza critica.

WhatsApp, Telegram, Facebook, X e tutte le altre piattaforme digitali si sono trasformate nei principali canali di interazione ed informazione, soppiantando quasi del tutto la carta stampata e quelli che una volta erano i due maggiori media: televisione e radio.  Quando la possibilità di fare informazione passa dai professionisti a chiunque abbia il pollice opponibile e la possibilità di utilizzare un telefonino, senza distinzione alcuna, senza studi e senza meriti, la disinformazione, le fake news e la mancanza di fact-checking, possono avere effetti deleteri oltre che su noi stessi, anche sulle relazioni personali e professionali che intratteniamo con gli altri.

Il fact-checking è il processo di verifica delle informazioni per assicurarsi della loro correttezza prima di diffonderle. Questa pratica è cruciale in un'era dove le notizie false si diffondono più velocemente delle notizie verificate, grazie alla loro natura spesso sensazionale o provocatoria.

La maniera in cui questo tipo di distorsioni comunicative può avere impatto a livello delle nostre relazioni è presto detta: nel momento in cui ci confrontiamo con terze persone, intratteniamo relazioni personali, sentimentali o professionali, anche quello che diciamo, o in questo caso comunichiamo attraverso media digitali, ha un suo valore in termini di dignità, affidabilità e credibilità.

La disinformazione nelle relazioni digitali

Un esempio significativo dell'impatto della disinformazione lo abbiamo visto più volte nel contesto elettorale, soprattutto quello internazionale. Fake news riguardanti presunti brogli hanno non solo seminato discordia tra i votanti, ma hanno anche compromesso la credibilità di istituzioni democratiche e personaggi pubblici o candidati; tra le altre cose si è visto che il più delle volte le scuse o le repliche fatte da testate giornalistiche o fantomatici accusatori non sortiscono la stessa enfasi e lo stesso impatto delle accuse o delle notizie costruite. Queste situazioni mostrano come la disinformazione possa avere una escalation da semplici conversazioni a crisi sociali più ampie, ma soprattutto mina in maniera pesante la credibilità della comunicazione e, probabilmente alla fine, anche della relazione.

Le reti sociali giocano un ruolo ambivalente in questo contesto. Da un lato, amplificano la portata di ogni informazione, falsa o veritiera che sia, mentre dall'altro offrono strumenti di fact-checking automatici ed affidabili, oppure basati sull’intervento diretto della community di appartenenza, che cercano di stemperare il flusso di notizie non verificate, ma questi strumenti non sono sempre utilizzati o efficaci come dovrebbero. Lo stesso controllo dei fatti operato dai volontari di Wikipedia risente fortemente delle convinzioni, delle inclinazioni e delle credenze di chi deve andare a controllare i fatti stessi. Un altro esempio lo possiamo trovare nella piattaforma Google che ha implementato diversi algoritmi per migliorare l'affidabilità delle ricerche, ma la disinformazione, mossa sempre dall'intelligenza umana piuttosto che da quella artificiale, trova ancora modi per aggirare i controlli ed emergere tra i risultati veritieri.

Esistono poi dei siti web di notizie falsificate ad arte che appaiono autorevoli e che danno legittimità alle false notizie stesse; è inutile dire che per chi ha preso l'abitudine di leggere le notizie in maniera molto veloce, basandosi sul titolo e senza entrare in profondità, le fake news sono un grave problema sociale, soprattutto quando, imitando l'aspetto ed i marchi di fonti di notizie rispettabili, riescono ad ingannare i lettori e spingerli a condividere contenuti inaccurati o volutamente falsificati ad arte. Il riconoscimento visivo non è più sufficiente per garantire la veridicità di una fonte.

Casi di studio affrontati da varie università, tra le quali: Cattolica e Statale  di Milano, Sapienza di Roma, Federico II di Napoli e Università di Trento, solo per citarne alcune, hanno preso in considerazione uno dei più grandi generatori di false notizie: il COVID-19. La diffusione di false notizie che portavano ad altrettanto false cure per la pandemia, è riuscita ad ingannare un numero elevato di persone, grazie ad una parvenza di veridicità e, in una grande abbondanza di casi, hanno portato a comportamenti rischiosi, effettuati però in maniera convinta e consapevole.

La disinformazione nelle relazioni digitali

Grandi aziende, multinazionali e perfino la Commissione Europea, hanno affrontato il tema delle notizie false o tendenziose, commissionando ricerche pubbliche e private sulla circolazione di fake news, in particolare in campo finanziario. La totalità di queste ricerche ha portato alla luce un sottobosco di aziende e siti web specializzati nella disinformazione finanziaria, con fatturati milionari e collusioni più o meno lecite con il mondo stesso della finanza. Chiaramente sembra inutile dire che, in campo finanziario se qualcuno guadagna qualcun altro deve per forza perdere, ed è sempre più diffuso il fenomeno della propagazione di dati inesatti al solo scopo di portare inesperti verso l'inganno.

Prevenire questi insuccessi comunicativi è possibile. In ambito aziendale una soluzione potrebbe essere l'implementazione di programmi di formazione specifici sulle tecniche di verifica delle informazioni, mentre un'altra potrebbe essere l'adozione di politiche interne che promuovono una cultura della trasparenza e del rispetto della verità, in modo da rafforzare l'immunità a queste minacce.

In ogni ambito aziendale, produttivo e finanziario, c'è stata negli scorsi anni una spinta fortissima e molto veloce all'uso inconscio di strumenti e nuove tecnologie, senza però dare adeguata attenzione e supporto al come usarle, come non abusarne o come non rimanerne vittima; il tutto fatto in maniera cieca e senza una visione oltre la brevissima distanza, appagando la gioia momentanea del nuovo giocattolo tecnologico, senza valutarne l'impatto nel tempo.

Questa cosa mi ricorda molto quel proverbio cinese che recita:
“Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.”

La disinformazione nelle relazioni digitali

L'importanza di un'educazione digitale adeguata non può essere sottolineata mai abbastanza. Imparare a identificare fonti affidabili e a verificare le informazioni attraverso più canali è una competenza cruciale in un'epoca dominata dalla comunicazione digitale.

La disinformazione è un agente corrosivo e silenzioso che si insinua nelle fondamenta della nostra società, erodendo la fiducia e compromettendo la solidità delle relazioni. Dal momento che la nostra realtà è sempre più mirata alla connessione, la nostra resilienza dipende fortemente dalla capacità di pescare la verità nel mare delle informazioni digitali. Riconoscere questo problema, la disinformazione programmata, e agire in modo informato è essenziale, non solo per proteggere sé stessi ma per preservare l'integrità delle nostre società, delle nostre amicizie e delle nostre famiglie.

La mia riflessione finale si concentra quindi sull’aumento, e sullo sviluppo consapevole e continuativo, di quel senso collettivo di responsabilità nell'uso e nella condivisione delle informazioni che sta iniziando a mancare in molte situazioni relazionali.

Corrado Capelli

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